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MAYA: REALTÀ E ILLUSIONE SECONDO SRI AUROBINDO (PARTE 2)

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Gli adoratori di Dio, i ricercatori della perfezione umana, coloro che innalzano l’umanità dalla natura verso la supernatura, incontrano due grandi ostacoli sul proprio cammino: da una parte la tendenza ordinaria della natura a rimanere attaccata alle conquiste del passato, rappresentate dall’ebete naturalismo dell’uomo pratico e mondano, dall’altra la tendenza esagerata a voler oltrepassare il simbolo, rappresentata non tanto dall’asceta che si ritira dal mondo, che dopo tutto, può farlo a pieno diritto, ma piuttosto dal pessimismo deprimente degli ignoranti che non vogliono fuggire il mondo, né, se tentassero di farlo, potrebbero innalzarsi fino alle vette dell’ascetismo, ma sono comunque imbevuti a livello intellettuale e dominati nel temperamento da queste dottrine distaccate e catastrofiche. Un’alba migliore sorgerà per l’India quando la nebbia si diraderà e la mentalità indiana, pur senza rinunciare alla verità di Maya, riuscirà ad intuire che si tratta solo di una spiegazione parziale dell’esistenza. L’esistenza terrena non è indispensabile all’essere o alla gioia di Dio, ma non per questo è vanità; né un’esistenza terrena liberata, libera in Dio, può essere considerata vana o falsa.

La dottrina ordinaria di Maya non è una verità semplice, ma deriva da tre diversi livelli di percezione spirituale.

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