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Archivio dei tag Umberto Riva

DI ALZHEIMER. UN MATEMATICO CHE CONOSCE L’ASPIRINA

Siamo lieti di omaggiare anche voi lettori d’Altrove di questo prezioso e grazioso scritto di Umberto Riva, nostro amico e illustre matematico, che non è di carattere scientifico ma di natura intuitiva.

“Questo percorso consiste nel premere il palmo della mano del paziente in punti diversi”. Mi diceva Marisa, bergamasca della Valbondiona sopra la Val Seriana. Marisa, a quel tempo, faceva volontariato in un centro per sofferenti di Alzhheimer giusto a Bergamo (direi al Negri).
La curiosità mi è sempre stata compagna. Andai quindi, una volta tornato a Vicenza, a suonare al cancello del professore Porro, che ci ha lasciati un bel po’ di tempo fa, su in una villa a Monte Crocetta, villa allestita per un Day Ospital riservato a sofferenti della malattia di Alzheimer.
Conoscevo il professor Porro per un suo libro sull’argomento che certamente non parlava di molto ma non di palpeggiamento alla mano dell’infermo. Fu gentile il Professore. Ascoltò il perché della mia visita e da cosa fu suggerita oltre, si intende, alla mia curiosità. Mi parlò moltissimo ed ascoltai. Ne fui esilarato. Ma il massimo gradimento lo raggiunsi quando mi invitò a visitare la villa, le sale, vedere gli ospiti.
Gli ospiti. Ne fui allibito.
Potei riconoscere personaggi noti nel panorama vicentino. Erano, furono importanti nell’ambito della propria attività. Notai, commercialisti, docenti. Professionisti tanti professionisti. Qui non vorrei dire che in mezzo non ci fosse qualche idraulico o contabile di banca o qualche signora Maria, anche se poco ci credo.
Siccome nella mia testa si andava delineando una idea, avvicinai un paio di pazienti in funzione di una precisa domanda ovvero se “Intellettualmente” oltre alla loro materia mai ad altro si fossero interessati. Il più esauriente fu un notaio col quale ci si dava del tu in quanto conoscevo non solo per la sua professione ma anche perché fummo a scuola assieme al Patronato dai preti. Non afferrò subito il senso della domanda e non per colpa dell’Alzheimer. Non si orientava sul valore di quell’intellettualmente.
Si lui aveva interessi oltre lo studio notarile. Andava a concerti, a serate di poesia, a visitare luoghi e musei a gallerie d’arte.
Ecco, il suo interesse consisteva nel guardare e nel sentire.
Chiesi se mai avesse pensato di suonare il violino, al che seppi che la nonna, quella cara signora dai capelli candidi con la veletta ed occhialini cerchiati d’oro appesi al collo da una fine catenina d’oro, lo aveva, quand’era piccolo, spinto proprio verso il violino. Lui però, seguendo le orme paterne e del nonno, si dedicò alla giurisprudenza, quindi alla professione notarile. In toto.
“Perché mi chiedi del violino?”.
Velocemente illustrai il senso del mio dire; ascoltare la Mutter che interpreta qualche sonata di Mendhelson è piacevole è remunerante, ma l’esecuzione viene da una interpretazione della artista di quella artista o, al caso se non della Mutter, di altra interprete. Esecuzione figlia di un rifacimento della sonata, rifacimento che sarebbe mutato ogni volta avesse eseguito quel pezzo ricreando toni dettati dallo stato d’animo, dal luogo, dalla posizione della luna in cielo. La Mutter creava come lui creava un rogito, ché se i rogiti sembrano tutti uguali in realtà non è così. Vedi, gli andavo dicendo, Einstein suonava il violino, ed era uno scienziato, suonava il violino interpretando i suoi pensieri al di fuori ed al di là della relatività. Io nel mio piccolo, scrivo poesie e strani racconti, dipingo e lavoro la creta, così come scrivo e propongo teorie matematiche. Io ed il signor Einstein siamo creativi, intellettualmente produttivi al di fuori del nostro mestiere, della nostra scienza.
L’amico mi guardò in maniera strana. Non so se turbato o perplesso.

Ed intanto le mie rotelline giravano vorticosamente.
Immagini mi si configuravano nella mente. Visioni di ciò che avrebbe dovuto essere, pensiero, solo puro pensiero.
L’immagine più insistente presentava una stanza con due porte alle estremità. Erano porte opposte in una stanza vuota. Chi entrava da una porta usciva dall’altra proseguendo in via rettilinea. Il pavimento si consumava sotto i piedi, sotto le scarpe di chi passava, ma solo lungo quella striscia che rappresentava quel rettilineo tragitto. Il resto, tutto il resto del pavimento era intatto, era inusitato, era nuovo e nuovo restava. Pensavo allora che in quel momento le piastrelle di rivestimento si fossero consumate, ma solo quelle del passaggio, e per aggiustare il tutto bisognasse rifare l’intera stanza anche se buona parte di questa era integra.
I neuroni, i neuroni, i neuroni.
Quei neuroni, quei milioni di neuroni chiamati ad operare per ottenere rogiti di eccezionali contenuti perché lui, notaio, doveva produrre solo eccellenze.
Milioni di neuroni attivati all’uopo, milioni di neuroni in mezzo a miliardi appassiti inoperanti. Un milione di neuroni destinati allo stress al consumo alla fine in un mondo inutilmente inutilizzato.
Mai si dice tutto ciò che si pensa, così al professore Porro avrei dovuto scrivere, anche se, credo, in realtà lo feci. Purtroppo in quella mia, mi limitai ai ringraziamenti, che realmente erano di cuore evidenziando la cordialità che sembrava, e lo feci noto, ispirata dalla necessità di parlare di questo argomento con persona non addetta ai lavori.

Le rotelle, quelle mie cigolanti rotelle, nel frattempo continuavano a girare. Stavo per addentare qualche conclusione quando il Professore mi invitò per un nuovo incontro. Non fu per quanto mi auguravo. Era sì rimasto affascinato dalle mani e da quella tecnica, e se n’era informato ed in vero ringraziava per la notizia. Ma si parlò d’altro.
Approfittai del caso per farmi un altro giro in Villa, senza ricorrere ad interviste, ma solo per sguardi e rumori.
Una cosa che in precedenza non ebbi a notare fu la mancanza di musica. Questo fece modificare, anzi arricchire quelle mie deduzioni ed oltre le deduzioni.
Mai si deve lasciare appassire i neuroni. Bisogna solleticarli usandoli creativamente. Non la conoscenza passiva. Ma Interpretare la conoscenza attivamente e in continuazione.
Come?
Fare della prevenzione istruendo chi riconosce la validità della istruzione.
Lo so! So che la massima parte della gente non vorrà capire perché non vuol sapere, ma è altrettanto difficile che tra quella gente ci sia qualcuno che venga colpito dall’Alzheimer.
Dal momento però che a priori non si potrà stabilire se uno scolaro sarà un “pensante” od un “andante”, si darà a tutti il beneficio di superiorità. La cultura, o quella che tale si definisce, è quella che porta l’umano alla creatività, è e dovrà essere Umanistica. Chi la coglie metterà e terrà in movimento una buona parte di neuroni.
Quando si sarà superata una certa età, non per tutti la stessa, ma ben lontana dalla giovinezza, la cura, se così la vogliamo chiamare, quella preventiva, la culturalcreativa, è inapplicabile quindi non serve. I defunti neuroni non sono Lazzaro. Allora gli alzheimeriani non avranno via di scampo? Ci sono le vitamine e tutte quelle pasticche amatissime dai medici.
Oppure? La mia testa suggerisce qualcosa di diverso? La mancanza di musica in Villa suggerisce? Quando c’è musica la si deve sentire. Il sistema auditivo sempre in funzione, capterà volente o nolente i suoni che si trasferiranno al cervello.
Cosa dicono le mie rotelline? Quei suoni non debbono rimanere inerti. Saranno docenti, insegneranno ad auto analizzarsi. In teoria musica e simmetrie musicali potranno essere guide importanti e per la docenza e per l’apprendimento. Le simmetrie di Bach sono significanti ed importanti. Ma la musica, quella fatta in casa si accontenta anche di un semplice “la…. la…. la……” purchè non sia il solito “la…. la….la….”. I versi aulici di Pitagora è inizio di poesia, come i tagli sulle tele di Fontana è già arte figurativa. Il mio medico di base restaura mobili antichi. Non è un impegno creativo ma di ricerca, cercare materiali che siano all’altezza per un risultato, se vogliamo, creativo.

Nella maniera più leggera “far pensare agli altri essendo più comodo” a pari passo procede il consumo neuronico, sicché niente si consuma di ciò che non si usa. A questi, agli inerti del cervello, l’Alzheimer certamente non graverà.
Da giovani, dal tempo in cui la mente era aperta a tutto, allo studio. Studiare e pensare, pensare e studiare. Ogni ordine scolastico è coinvolto e sempre dovrà esserlo. In primis, in via essenziale ed insostituibile gli studi umanistici. Saper di greco e di latino. Ciò per coloro che abbracciano facoltà classiche e per coloro che percorrono gli studi scientifici anzi proprio negli scienziati la fantasia è necessità per essere creativi.
È un percorso per poter “essere” perché se non tutti, certamente buona parte dei neuroni saranno con noi. L’elasticità mentale è fondamentale per l’igiene del cervello che sappia di pulito.
Il percorso di pensiero, fino da giovanissimi, è indispensabile in quanto non ci sarà alcun dopo senza l’esistenza di un prima, perché nel dopo c’è solo inaridimento.
Questo ho scritto per non arrivare all’Alzheimer.
Ma c’è qualcosa per il dopo?

L’idea della musica. Le tecniche che divengono note, le note che divengono tecniche.
Le geometrie che si esprimono. I panorami di Rieman. Le curve di Plank. Sono musica. Le simmetrie ed i richiami. Come Mozart diciassettenne potè riscrivere mnemonicamente la “Alleluia di Allegri” cantata a nove voci che si poteva eseguire a Pasqua solo una volta all’anno in Vaticano dov’era conservato l’unico spartito, se a guidarlo non fossero stati i richiami delle simmetrie?
Cominciai così un percorso di matematizzazione ove il pensiero, il mio pensiero tracciava vie diverse da quelle definite da matrici costruite su teorie diverse, talmente diverse da proporre l’ignorare dell’immenso bagaglio algebrico e matematico in generale.
Il mio cervello evitava incroci con scienze note proponendosi come un “nuovo cervello”, una mente appena nata desiderosa di esprimersi e di fare.
La matematizzazione del nuovo, mi si offriva sciorinando sequenze algebriche apparentemente improprie.
Alla fine di uno di questi percorsi, volli esperimentare, ciò ben sapendo che di percorsi scrivibili ne esistevano tanti, molti forse incalcolabili quanto indefinita ed indefinibile è la mente umana. Ma, anche per curiosità di certo per un fattore psicologico, volli testare il percorso numero uno, ovvero quello a cui attribuii il numero uno.
L’avvio consisteva nel concentrarsi sul percorso attribuendo note e note ed altre note, come pietre nelle antiche vie consolari. Era cosa piacevolissima, direi talmente spontanea da provocare l’accantonamento della precedente, delle precedenti coscienze. Se volevo tornare al “fu”, dovevo abbandonare lo “adesso” ed ogni altra costruzione. La cosa risultava estremamente facile, oltre, come dissi, gioiosa.
Dopo qualche tempo, breve tempo, mi fermai. Analizzai avvenimenti e contenuti. Chiusi gli occhi, chiamai a raccolta i pensieri.
Mi trovavo a seguire due metodologie, arrivando per ognuna a conclusioni diverse, talmente diverse da rendersi irriconoscibili.
Mi dissi allora! Che cavolo sto facendo!
Mi sono creato un altro cervello. Questa non è cosa buona, questo non è etico (di quella pura etica di cui solo un agnostico può godere).
A guarire gli ammalati di Alzheimer ci pensino i medici con le loro vitamine e la loro chimica.
Distrussi il disco fisso e quella scienza matematica.

 

Umberto Riva

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