• +39 0499903934
  • info@seialtrove.it
  • Cerca

L’ENIGMA DI QUESTO MONDO – PARTE 2

 – Continua dalla prima parte (clicca qui) – 


       Ma ancora, qual è lo scopo e l’origine della disarmonia? Perché questa divisione e quest’ego, questo mondo con un’evoluzione così penosa? Perché il male e il dolore devono insinuarsi nel Bene, nella Beatitudine e nella Pace divini? È difficile rispondere all’intelligenza umana rimanendo al suo stesso livello, perché la coscienza cui appartiene l’origine di questo fenomeno e per la quale esso è in qualche modo automaticamente giustificato in una conoscenza superintellettuale, è un’intelligenza cosmica e non un’intelligenza umana individualizzata; essa vede spazi più vasti, ha un’altra visione e cognizione e stati di coscienza, diversi dalla ragione e dal sentimento umani. Alla mente umana si potrebbe rispondere che mentre in sé l’Infinito può essere libero da queste perturbazioni, tuttavia, una volta iniziata la manifestazione, sono iniziate anche infinite possibilità, e fra le infinite possibilità che la manifestazione universale ha la funzione di elaborare, una di queste è stata ovviamente la negazione, l’apparente negazione effettiva (con tutte le sue conseguenze) del Potere, della Luce, della Pace e della Beatitudine. Se si chiede perché tale negazione, anche se era solo una possibilità, sia stata accettata, la risposta più vicina alla Verità cosmica che l’intelligenza umana possa formulare è che nelle relazioni o nel passaggio dal Divino nell’Unità al Divino nel Molteplice, quest’infausta possibilità è divenuta a un certo punto inevitabile. Infatti, una volta che appare, essa acquista per l’Anima che scende nella manifestazione evolutiva un’attrazione irresistibile che crea l’inevitabilità — un’attrazione che, in termini umani e a livello terrestre, potrebbe tradursi con il richiamo dell’ignoto, la gioia del pericolo, della difficoltà e dell’avventura, la volontà di tentare l’impossibile, di realizzare l’incalcolabile, la volontà di creare il nuovo e l’increato con il proprio essere e la propria vita quali materiali, il fascino degli opposti e della loro difficile armonizzazione — tutte cose che, tradotte in un’altra coscienza, sovrafisica, superumana, più alta e più vasta di quella mentale, hanno costituito la tentazione che ha portato alla caduta. Per l’essere originario di luce che si accingeva a discendere, le uniche cose ignote erano infatti le profondità dell’abisso, le possibilità del Divino nell’Ignoranza e nell’Incoscienza. Dall’altro lato, nell’Unità divina, c’era una vasta acquiescenza compassionevole, consenziente, soccorrevole, una conoscenza suprema che questa possibilità doveva essere, e che, essendo apparsa, doveva realizzarsi, che la sua apparizione faceva parte in un certo senso di un’insondabile, infinita saggezza, e che se l’immersione nella Notte era inevitabile, l’emersione in un nuovo Giorno senza precedenti era anch’essa una certezza, e solo così poteva essere effettuata una sicura manifestazione della Verità suprema — attraverso un’elaborazione dei suoi opposti fenomenici come punto di partenza dell’evoluzione, come condizione posta per un’emersione trasformatrice. Questa acquiescenza abbracciava anche la volontà del grande Sacrificio, la discesa del Divino stesso nell’Incoscienza per prendere su di sé il fardello dell’Ignoranza e delle sue conseguenze, intervenendo come l’Avatar [Incarnazione divina] e la Vibhuti [Emanazione divina], che camminano tra il doppio segno della Croce e della Vittoria verso il compimento e la liberazione. È forse questa una rappresentazione troppo immaginativa della Verità inesprimibile? Ma come presentare senza immagini all’intelletto un mistero che lo supera di molto? Solo quando si è attraversata la barriera dell’intelligenza limitata e si è partecipi dell’esperienza cosmica e della conoscenza che vede le cose per identità, le supreme realtà che stanno dietro a queste immagini — immagini che corrispondono alla realtà terrestre — assumono le loro forme divine ed appaiono semplici, naturali, inerenti all’essenza delle cose. Solo entrando in quella coscienza più grande si può afferrare l’inevitabilità della sua creazione e del suo scopo.

       Questa, infatti, è solo la Verità della manifestazione come si presenta alla coscienza quando essa si trova sulla linea di confine tra l’Eternità e la discesa nel Tempo, dove la relazione tra l’Uno e il Molteplice nell’evoluzione è determinata: una zona in cui tutto ciò che dev’essere è implicito, ma non ancora in atto. Ma la coscienza liberata può elevarsi più in alto, dove il problema non esiste più e, da lì, vederlo alla luce di una suprema identità in cui tutto è predeterminato nella verità automatica e spontanea delle cose e giustificato di fronte a una coscienza e saggezza assolute e a una Gioia assoluta che sono dietro a ogni creazione e noncreazione, e in cui l’affermazione e la negazione sono entrambe viste con gli occhi della Realtà ineffabile che le libera e le riconcilia. Ma questa conoscenza non è esprimibile per la mente umana; il suo linguaggio di luce è troppo indecifrabile, la luce stessa troppo luminosa perché una coscienza abituata allo sforzo e all’oscurità dell’enigma cosmico e intrappolata in esso ne possa seguire il filo o afferrarne il segreto. In ogni caso, solo quando ci eleviamo nello spirito, oltre la zona dell’oscurità e della lotta, entriamo nel suo pieno significato e l’anima viene liberata dal suo enigma. Elevarsi a quell’altezza di liberazione è la vera soluzione e l’unico mezzo di conoscenza indubitabile. Ma la liberazione e la trascendenza non impongono necessariamente una scomparsa, un puro e semplice dissolvimento fuori della manifestazione; possono preparare invece una discesa della suprema Conoscenza nell’azione e un’intensità di Potere capace di trasformare il mondo e di portare a compimento l’impulso evolutivo. È un’ascesa da cui non si ricade più ma da cui si può prendere il volo per una discesa alata di luce, forza e Ananda.

Continua…

Gruppo Altrove

Lascia una risposta