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LA POLARITÀ

Brano tratto dallo scritto Il principio di polarità: l’immagine di sé – gennaio 2018

L’uomo dice “ io ” e con questo termine intende un’infinità di diverse identificazioni: ” Io sono un essere di sesso maschile, io sono nato a Napoli, io sono italiano, io sono un padre di famiglia, io sono un bravo figlio, io sono un operaio, io sono un militante. Sono attivo, dinamico, tollerante, bravo, amante degli animali, amante della pace, bevo il caffè, amo la cucina, amo i viaggi, ecc… “. Queste identificazioni, influenzate dall’ambiente, sono state a un certo momento della vita precedute da scelte: una possibilità è stata preferita ad un’altra, un polo è stato integrato nell’identificazione mentre l’altro è stato escluso concretizzandosi in un difetto.
Così l’identificazione: “ Io sono attivo e bravo ” è un pregio ma esclude automaticamente: ” Io sono passivo e pigro ” a cui per esclusione  automaticamente viene ad associarsi un’imperfezione: è un difetto.
Da un’identificazione deriva per lo più molto rapidamente anche una valutazione che determina nella psiche cosa è perfetto e cosa è imperfetto, cosa è degno di lode e cosa non lo è: ” Bisogna essere sempre attivi e bravi; non è bene essere passivi e pigri “. Indipendentemente dal fatto che una simile valutazione possa essere sostenuta da argomentazioni e teorie, si tratta in ogni caso di un punto di vista soggettivamente convincente che influenza totalmente ogni forma di esperienza.
Oggettivamente e forse anche ragionevolmente, questa è semplicemente una possibilità di vedere le cose, non certo l’unica. Ogni identificazione che si basa su una decisione, giusta o sbagliata che possa essere, esclude un polo determinandone automaticamente l’imperfezione .
Sicché, tutto ciò che sentiamo come “no”, che non vogliamo essere, che ci procura fastidio e irritazione, che non vogliamo ritrovare in noi, che non vogliamo vivere, che non vogliamo che entri a far parte della nostra identificazione, costituisce questo senso di imperfezione che si cristallizza come il nostro lato oscuro (inconscio). Infatti, il rifiuto della metà di tutte le possibilità non fa certamente si che queste spariscano, ma le bandisce semplicemente dall’immagine ideale di perfezione che ognuno ha di sé e che, nell’identificazione dell’io con la personalità, costituisce l’idea, l’immagine ideale che ognuno ha di sé.
Il “no” ha eliminato dalla nostra visuale un polo, ma non lo ha fatto sparire. Il polo rifiutato continua infatti a vivere ininterrottamente nell’ombra della nostra “in-cosxienza”.
[…]
Possiamo quindi dedurre che l’oscuro (la metà della realtà che resta nell’ombra della cosxienza) è la somma di tutte le realtà rifiutate, quelle che l’uomo non vede, o per paura non vuol vedere, e che per lui risulteranno quindi inconsce. La zona d’ombra che per ignoranza rifiutiamo di vedere è l’impossibilità maggiore dell’uomo, perché essa opera in lui senza che ne sia cosciente. L’oscuro alla continua richiesta di essere portato alla luce della cosxienza, non “visto” e ascoltato, fa si che tutte le intenzioni e gli sforzi dell’uomo si trasformino alla fine nel loro opposto. Tutte le manifestazioni che derivano dalla zona d’ombra vengono dall’uomo proiettate su un anonimo “male “, qualcosa da combattere ed evitare, che esisterebbe nel mondo e negli altri, in quanto ha paura di trovare in se stesso la vera fonte di ogni aspetto negativo che semplicemente riflette all’esterno di sé.

[continua…]

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